Tiroidite autoimmune e zero anticorpi nel sangue: com’è possibile?

Tiroidite autoimmune e zero anticorpi nel sangue: com’è possibile?

  • Non sempre è facile per lo specialista fare diagnosi del quadro clinico del paziente attraverso semplici esami emato-chimici o strumentali, discutendone in modo sistematico. È necessario affiancare agli esami di laboratorio uno studio obiettivo del paziente che si ha di fronte. Com’è possibile ritrovarsi con zero anticorpi nel sangue ma soffrire di tiroidite di Hashimoto?

Osservare il paziente

Dal mio excursus professionale ho potuto ben constatare che “studiando” la persona che ho di fronte, ascoltando le sensazioni riguardo la sua condizione di salute, focalizzandomi sui sintomi e sui segni che emergono dalla visita e unendo a questi le valutazioni cliniche e gli esami strumentali, mi permettono di definire un quadro clinico chiaro e completo.
Chi mi conosce sa benissimo che mi concentro molto sulle domande del tipo “Signora, quali sono i suoi sintomi?”, “Come si è sentita in questi ultimi tempi?”, e mi soffermo molto sul colorito, sull’aspetto e sull’atteggiamento corporale con cui si presenta il paziente.
Sostengo fortemente che il lavoro ottimale viene svolto dagli specialisti di “frontiera”, coloro i quali dedicano tanto tempo ai pazienti, si soffermano tanto sull’esame obiettivo proprio come facevano i medici antichi, che non disponevano di tutti gli esami strumentali di cui possiamo fruire ai giorni d’oggi.

Tiroidite di Hashimoto e infiammazione da cibo

Ultimamente mi capita sempre più spesso di avere a che fare con pazienti affetti da patologie tiroidee, in particolare autoimmuni, dove alcune volte gli esami del sangue non sono sufficienti per analizzare il problema. Affrontare l’argomento dell’autoimmunità non è facile. Le evidenze compaiono quando le persone affette da tiroidite presentano valori significativamente elevati degli anticorpi anti-tireoglobulina e anti-tireoperossidasi.
Negli ultimi tempi alcune ricerche sul BAFF hanno permesso di capire che una ipersensibilità a taluni alimenti è in grado di provocare uno stato infiammatorio specifico e creare una risposta immunologica sui linfociti T che contribuisce alla attivazione della autoimmunità.
Purtroppo, numerosi specialisti tendono a sottovalutare la dipendenza alimentare come fattore centrale che può scatenare conseguenze a livello fisiologico e immunitario. La dipendenza alimentare in relazione a differenti stati infiammatori incide molto anche sulla terapia della tiroidite autoimmune promuovendone la guarigione o almeno la sua cura.

Purtroppo, molto spesso viene utilizzata la levotiroxina, che agisce sul TSH, per contrastare l’innalzamento degli anticorpi anti TPO e anti TG, quando invece questi vengono modulati in base alla gestione dell’infiammazione mediante la nutrizione.

Alcuni studi hanno rilevato la relazione tra allergia, livelli di IgE e citochine infiammatorie nello sviluppo di tiroidite. In particolare, alcune citochine provenienti dal tessuto adiposo (adipochine) che influenzano la comparsa di tiroidite di Hashimoto sono indotte dall’azione di BAFF e PAF, che inducono resistenza insulinica e quindi infiammazione.

Tiroidite di Hashimoto sieronegativa

Tuttavia, mi è capitato di visitare, alcune volte, dei pazienti che mostravano tipici sintomi della tiroidite di Hashimoto e manifestazioni cliniche di una tiroide infiammata o talora danneggiata ma che non presentavano, agli esami del siero, valori alterati di anti TPO e anti TG. Anche in questi casi, è importante non escludere una tiroidite autoimmune, in quanto alcuni pazienti con questa malattia possono presentare i TgAb e i TPOAb entrambi negativi: siamo di fronte ad una tiroidite autoimmune cosiddetta “sieronegativa”. Risulta necessario, quindi, effettuare in questi casi l’ecografia tiroidea o raramente anche un esame citologico.

È sempre importante effettuare più esami per fare una corretta diagnosi, poiché i TgAb e TPOAb possono anche risultare fluttuabili agli esami, possono negativizzarsi con sintomatologia tipica dell’ipotiroidismo ma in realtà si tratta solo di una stanchezza surrenalica, rilevabile mediante test di cortisolo salivare.
Il dosaggio di TgAb e dei TPOAb è comunque indicato in presenza del sospetto clinico di tireopatie autoimmuni, ipotiroidismo o in seguito al rilievo di gozzo.

Alla luce di ciò, in presenza di tiroiditi autoimmuni è necessario mantenere attivato l’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide mediante promozione metabolica e calma insulinica, e quindi leptinica, mediante la mia linea del metodo antinfiammatorio che propongo in studio, di cui ho parlato nel mio libro “La dieta antinfiammatoria” (di cui è stata fatta una revisione importante), nel mio libro “SOS – sistema immunitario” e nel libro che uscirà a fine mese sulla sindrome fibromialgica, i quali potrete ritrovare sul mio sito www.francescogarritano.com/negozio/ .

 

Dott. Francesco Garritano

 

 

Fonti bibliografiche:

  • Rotondi M. et al. Serum negative autoimmune thyroiditis displays a milder clinical picture compared with classic Hashimoto’s thyroiditis.
  • Surks and Hollowell. Age-specific distribution of serum thyrotropin and antithyroid antibodies in the US population: implications for the prevalence of subclinical hypothyroidism.
  • Do-Hwan Kim and Myoung-Sool Do. BAFF knockout improves systemic inflammation via regulating adipose tissue distribution in high-fat diet-induced obesity.
  • Mi-Young Kim et al. B-cell-activating factor is a regulator of adipokines and a possible mediator between adipocytes and macrophages

 

 

 

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