Valutazione anticorpale nella tiroidite autoimmune: perché così importante?

Valutazione anticorpale nella tiroidite autoimmune: perché così importante?

Cosa intendiamo quando parliamo di anticorpi nella tiroidite autoimmune? Ci riferiamo ai ben noti anticorpi anti-tireoperossidasi  e agli anticorpi anti-tireoglobulina, che vengono dosati in modo necessario per la diagnosi di decorso patologico autoimmune a carico della tiroide, ma non solo: servono anche per il monitoraggio della patologia  in corso… vediamo insieme come. Buona lettura!

Non sempre è facile per lo specialista fare diagnosi del quadro clinico del paziente attraverso semplici esami emato-chimici o strumentali, discutendone in modo sistematico. E’ necessario affiancare agli esami di laboratorio uno studio obiettivo del paziente che si ha di fronte. Affrontare l’argomento dell’autoimmunità non è facile. Le evidenze compaiono quando le persone affette da tiroidite presentano valori significativamente elevati degli anticorpi antitireoglobulina e antitireoperossidasi: una cosa è avere valori anticorpali poco sopra la norma, un altro discorso è averli molto più elevati dello standard.

Innanzitutto, gli anticorpi anti-tireoperossidasi e anti-tireoglobulina sono anticorpi che vengono prodotti dal nostro organismo e che agiscono contro la ghiandola tiroidea.
Quando i valori ematici di queste molecole supera un certo valore significa che tali anticorpi tendono ad aggredire la tiroide andando a comprometterne la funzionalità e anche la struttura stessa della ghiandola.
Quindi, l’esame nel sangue di tali anticorpi riveste un importante ruolo diagnostico nei confronti di specifiche malattie autoimmuni quali la tiroidite di Hashimoto.
Gli Ab anti-TPO sono degli anticorpi che attaccano un enzima specifico ovvero la tireoperossidasi, il quale ha la precisa funzione di produrre gli ormoni tiroidei (T3 e T4).

L’analisi nel sangue di tali anticorpi ( che non richiede alcuna preparazione)  risulta negativa alla diagnosi di attacco autoimmune contro la ghiandola stessa quando  i valori sono inferiori a 35 UI/ml.

Quando i risultati dell’esame sono negativi, vuol dire  che gli anticorpi non sono presenti  nel sangue, tuttavia non bisogna sottovalutare il fatto che la presenza di una malattia autoimmune potrebbe anche non manifestarsi in questi termini. Infatti, come mi propongo nello studio con i miei pazienti,  ci tengo a ricordare che  per la diagnosi di una tiroidite autoimmune ha priorità innanzitutto lo studio dei sintomi che accusa il paziente, dopodiché è di fondamentale importanza considerare gli esiti di un’ecografia alla ghiandola tiroidea che ne permette di evidenziare eventuali anomalie strutturali dovute alla patologia, e successivamente la presenza di anticorpi dà conferma al quadro diagnostico della malattia.

Questo perché ci sono dei casi in cui gli anticorpi non sono presenti nel flusso ematico ma la tiroidite è in corso: quando i soggetti affetti da malattia autoimmune della tiroide riportano tuttavia l’assenza totale di tali anticorpi si parla di tiroidite sieronegativa.

Durante il monitoraggio della malattia, risulta di fondamentale importanza continuare a dosare gli anticorpi, anche dopo la diagnosi! Questo perchè, come evideziano gli studi di Yuan ,dopo gli stadi iniziali della malattia, quelli che iniziano ad aumentare sono le proteine della tireoglobulina, indice di danno a livello della ghiandola da parte dell’attacco autoimmune. Gli anticorpi anti-tireoglobulina vanno ad attaccare la tireoglobulina: essa è una proteina presente nelle cellule colloidali della tiroide,  che all’occorrenza viene scissa per rilasciare T3 eT4.  Gli anticorpi anti-tireoglobulina solitamente non entrano in circolo, ma in una statistica compresa tra il 10 e il 20% dei soggetti sani l’esame dà esito positivo; si considerano negativi i valori inferiori a 116 IU/ml. In questi casi, possiamo ben capire che si tratta di un caso avanzato della malattia.
Mi preme evidenziare che, anche in caso di riduzione del fenomeno infiammatorio autoimmune, la tireoglobulina può permanere ancora in circolo e risultare elevata, in concomitanza anche con gli anticorpi che la attaccano, per un arco di tempo anche di mesi.

Tuttavia, anche se gli anticorpi fluttuano in modo molto evidente e l’andamento della tiroidite non è connessa con il valore degli anticorpi e l’avere un titolo alto o basso degli anticorpi non indica un peggioramento o un miglioramento della patologia, nell’indagine circa la presenza di tiroidite di Hashimoto, la misurazione degli anticorpi anti-tireoperossidasi risulta più esaustiva e specifica rispetto alla misurazione degli anticorpi anti-tireoglobulina (anti-Tg): perciò tale esame viene effettuato solo quando il primo valore è negativo ma permane il sospetto di tiroidite di Hashimoto.

Voglio pur sempre precisare che gli anticorpi anti-tireoglobulina,  attaccando la tireoglobulina presente nella colloide tiroidea, riescono a far perdere notevolmente la funzionalità della ghiandola, ma la sua misurazione nel sangue non si può considerare un esame specifico per la tiroidite autoimmune. In assenza di anticorpi anti-tireoperossidasi, la presenza dell’anti-tireoglobulina non è sufficiente per giungere a una diagnosi certa quindi non è sfruttata a tale proposito: infatti, gli anticorpi anti TPO sono ancora più importanti in quanto  risultano associati in altre patologie come la celiachia, i quadri di poliabortività, il diabete insulino dipendente e altre patologie autoimmuni, perciò danno una conferma più significativa, rispetto agli Ab anti-Tg, sulla presenza di malattie autoimmuni, mentre per il monitoraggio del decorso clinico è essenziale procedere anche con la valutazione dei sintomi, dell’ecografia tiroidea e anche delle analisi.

Dott. Francesco Garritano

Fonti bibliografiche:

  • Yuan S. et al., Changes in anti-thyroglobulin IgG glycosylation patterns in Hashimoto’s thyroiditis patients. J Clin Endocrinol Metab. 2015 Feb;100(2):717-24.
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